RMAP e innovazione

Capitolo III estratto da: Co-creazione e responsabilità nell’innovazione tecnoscientifica dal basso

2023

A cura di: Simone Arnaldi, Università di Trieste; Stefano Crabu, Università di Padova; Paolo Magaudda, Università di Padova

L’autore del capitolo III è Sergio Minniti (Università degli Studi di Padova)

III. INNOVAZIONE DAL BASSO E CO-CREAZIONE NELL’AMBITO DELLE TECNOLOGIE DIGITALI

Nello studio della relazione tra tecnologia, scienza e società, l’analisi dei processi di innovazione tecnologica ha posto storicamente un particolare accento sul contributo offerto dei “non-esperti”. A partire dalla fine degli anni Settanta del Novecento, infatti, si è iniziato a riconoscere che i comuni cittadini o gli utenti finali partecipano attivamente al cambiamento tecnologico, contribuendo in vario modo a definire i significati, gli usi e le caratteristiche delle tecnologie. Tale partecipazione attiva è stata riscontrata sia nelle prime fasi dello sviluppo delle innovazioni, sia nelle fasi successive, quando esse si diffondono venendo adottate nelle – e adattate alle – routine quotidiane dei loro utilizzatori. È emerso, insomma, che anche i “non-esperti” svolgono un importante ruolo di “agenti del cambiamento tecnologico” (Kline e Pinch 1996).

Il riconoscimento del ruolo attivo dei “non-esperti” nel dar forma, “dal basso”, all’innovazione ha interessato numerose discipline, dal marketing al design e dalla computer science alle scienze politiche e sociali, che sulla base dei loro rispettivi interessi di ricerca si sono concentrate sul ruolo innovativo che i “non-esperti” svolgono in quanto consumatori, utenti e cittadini (Hyysalo 2021). Al di là della molteplicità dei processi e dei ruoli giocati dalle persone comuni nel cambiamento tecnologico, l’elemento fondamentale che accomuna le diverse interpretazioni di questo fenomeno è rappresentato dall’ordinarietà con cui i “non-esperti” partecipano all’innovazione, attraverso una costante attività di “co-costruzione” (Oudshoorn e Pinch 2003) e “co-produzione” di tecnologia e società (Jasanoff 2004).

Per fare solo qualche esempio, sono numerosi i casi in cui le tecnologie della comunicazione sono state definite dagli utenti, nelle loro funzioni e negli usi che si sono affermati storicamente: il telefono, concepito e sviluppato inizialmente come strumento professionale destinato agli uomini d’affari, è stato ridefinito dagli utenti come strumento per la comunicazione personale (Fischer 1987); in maniera simile, gli utenti della radio, originariamente utilizzata come strumento di comunicazione punto-a-punto (one-toone), hanno contribuito in modo determinante alla sua affermazione come mezzo di comunicazione di tipo broadcast (one-to-many) dedicato all’intrattenimento, all’informazione e alla diffusione di contenuti musicali (Douglas 1989). Altri esempi significativi sono rappresentati da tecnologie della mobilità come la bicicletta (Bijker e Pinch 1984) e l’automobile (Kline e Pinch 1996), le cui forme tecnologiche definitive sono emerse dalle negoziazioni e interazioni tra gruppi sociali diversi, composti da “esperti” e “non-esperti”.

Esempi di innovazione “dal basso” si riscontrano in ogni ambito tecnologico, e la rilevanza di questo fenomeno ha portato all’affermazione dei cosiddetti user innovation studies (von Hippel 2005).

Allo sviluppo di questo campo di ricerca ha fatto da contraltare, in ambito industriale e produttivo, la diffusione di diversi modelli organizzativi orientati all’inclusione dei “non-esperti” nella progettazione tecnologica. Il design partecipativo, il living lab, lo user- e lo human-centred design sono solo alcuni esempi di questa tendenza storica, espressione della volontà degli attori industriali ed istituzionali di convogliare la forza innovativa degli utenti verso forme strutturate di co-creazione (si veda Hyysalo 2021 per una revisione critica dei differenti approcci).

In questo scenario, che ha visto l’affermarsi, in maniera complementare rispetto ai processi di innovazione bottom-up messi in campo dai “non-esperti”, di approcci top-down fondati su forme strutturate di partecipazione degli utenti, si è innestata la digitalizzazione. Le tecnologie digitali hanno rafforzato, in modi differenti, entrambe le tendenze. In ambito industriale, le tecnologie e le piattaforme digitali hanno ampliato le forme di collaborazione tra utenti e progettisti, consentendo di estendere la co-creazione di tecnologie e servizi oltre le fasi iniziali di ideazione e prova dei nuovi prodotti.

Si pensi, ad esempio, alla pratica del beta testing, cioè alla prova di software non ancora rilasciati da parte di utenti non professionisti, i cui feedback vengono utilizzati per migliorare il prodotto finale.

Grazie alle tecnologie e alle piattaforme digitali, che permettono di raccogliere i dati prodotti dagli utenti nel corso delle loro attività quotidiane, i processi di testing e di implementazione del software sulla base delle necessità degli users sono divenuti perpetui, andando dunque oltre la prova delle versioni preliminari. Questo processo di implementazione continua orientata agli utenti, basata sui dati prodotti attraverso l’uso delle tecnologie nei contesti reali della vita quotidiana, è stato visto come un potenziamento delle possibilità di co-creazione, che – almeno a livello ideale – dovrebbe consentire una maggiore aderenza delle tecnologie alle necessità dei loro utilizzatori finali (Hyysalo 2021).

I cambiamenti più significativi, però, si sono riscontrati dal lato degli utenti, che hanno visto crescere enormemente le proprie possibilità di contribuire attivamente all’innovazione. L’avvento della rete internet ha consentito ai “non-esperti” di connettersi a livello globale, formando comunità di pari che portano avanti progetti condivisi. Grazie a questa nuova possibilità sono emersi, “dal basso”, nuovi modelli organizzativi come la peer production – una forma di produzione paritaria e collaborativa sostenuta da comunità auto-organizzate – e la commons-based peer production (Benkler 2006) – un’evoluzione della produzione paritaria orientata alla creazione di beni comuni (si veda glossario). Questi modelli si fondano su logiche collaborative fra comunità di persone che operano al di fuori delle tradizionali strutture organizzative di tipo gerarchico e, nel corso del tempo, hanno consentito lo sviluppo di innovazioni emblematiche come Wikipedia e il sistema operativo GNU/Linux.

Oltre a permettere la sperimentazione di modelli organizzativi orizzontali, le tecnologie digitali hanno messo a disposizione degli utenti un’ampia serie di piattaforme e strumenti che abilitano la co-creazione. Si pensi, ad esempio, alle piattaforme di crowdfunding, che consentono il finanziamento collettivo dei progetti, o alle piattaforme di hosting utilizzate per la condivisione dei dati e lo sviluppo collaborativo del software, come GitHub. A queste piattaforme si è affiancata, negli ultimi vent’anni, una grande quantità di nuovi strumenti per la fabbricazione digitale (si veda la voce “FabLab” nel glossario), come le stampanti 3D, le macchine a controllo numerico (CNC), il microcontroller Arduino e il microcomputer Raspberry Pi. La diffusione di nuovi modelli organizzativi, piattaforme e strumenti è stata inoltre accompagnata dall’affermazione di nuovi spazi dedicati all’innovazione partecipativa, come i FabLab e i makerspace. Le tecnologie digitali hanno quindi moltiplicato le opportunità e le forme della co-creazione, consentendo sempre di più a “esperti” e “non-esperti” di confrontarsi e collaborare. Questa trasformazione è stata vista come un passaggio dall’innovazione semplicemente partecipativa, bottom-up o top-down, all’innovazione “aperta” (open innovation), che strutturalmente prevede il coinvolgimento di una pluralità di soggetti e della società nel suo complesso nei processi di innovazione, contribuendo a democratizzare l’innovazione (von Hippel 2005).

3.1. Tecnologie “aperte”, partecipazione e democratizzazione dell’innovazione: il caso di RaspiBO

La digitalizzazione è stata accompagnata, fin dai primi anni Novanta del Novecento, da un diffuso entusiasmo verso le potenzialità democratiche e liberatorie delle nuove tecnologie. La rete internet, per esempio, è stata a lungo percepita come uno strumento “naturalmente” democratico, capace di dar voce ai cittadini e democratizzare i processi decisionali grazie alla sua presunta orizzontalità. Dal punto di vista economico, essa è stata vista come la spina dorsale di un’infrastruttura su cui si sarebbero innestate nuove forme di economia partecipativa, come la cosiddetta sharing economy. Anche dal punto di vista culturale, la diffusione di Internet e delle tecnologie digitali è stata interpretata come portatrice di un cambio paradigmatico e di uno slittamento inevitabile verso forme di produzione collettiva basate sulla partecipazione attiva e volontaria degli utenti (Levy 1996).

A partire dagli anni duemila, tuttavia, questa visione cyberutopistica degli effetti della digitalizzazione è stata contrastata, in maniera sempre più pervasiva, dallo sviluppo di una maggiore consapevolezza degli aspetti problematici della “rivoluzione digitale”. Ci si è resi conto, infatti, che all’effetto democratizzante della digitalizzazione ha fatto da contraltare, grazie allo sviluppo di sempre più complessi strumenti di sorveglianza digitale, un ampliamento del controllo politico sulla vita dei cittadini; che lo sviluppo di nuove forme di economia partecipativa sono state accompagnate dall’implementazione di forme altrettanto nuove di sfruttamento del lavoro e dei dati prodotti dagli utenti; e che piuttosto che renderci maggiormente “intelligenti” e informati, le nuove tecnologie hanno incrementato la nostra esposizione alla disinformazione. A seguito di questa crescente consapevolezza degli aspetti problematici della digitalizzazione si sono moltiplicate le iniziative di sensibilizzazione della cittadinanza, gli interventi normativi in materia di protezione dei dati e della privacy degli utenti, mentre in ambito accademico si è affermata con forza una “svolta critica” degli studi sul digitale (Balbi 2018).

Nonostante questo approccio critico al digitale abbia iniziato ad affermarsi a partire dagli anni duemila, divenendo oggetto di dibattito pubblico e scientifico in misura crescente a seguito dell’affermazione progressiva del Web 2.0, dei social media e delle piattaforme digitali, già negli anni Ottanta esso era stato anticipato, sotto certi aspetti, dallo sviluppo di riflessioni che problematizzavano il tema del rapporto tra tecnologie digitali e utenti e, più in generale, tra tecnologia e società. In particolare, in quegli anni, iniziò ad affermarsi il movimento del free software, un movimento internazionale che supportava l’informatica “libera” e si opponeva al controllo industriale dell’innovazione digitale, sostenendo la necessità di elaborare e diffondere un approccio “etico” alla tecnologia fondato sul rispetto della libertà degli utenti e su processi collaborativi di sviluppo dell’innovazione. Questo movimento generò, da un lato, il concetto di “software libero”, definito dalla Free Software Foundation (FSF, fondazione non-profit dedita alla promozione della libertà degli utenti di computer) come “software che rispetta la libertà degli utenti e la comunità” attribuendo agli utenti “la libertà di eseguire, copiare, distribuire, studiare, modificare e migliorare il software”. Dall’altro lato, esso generò nuovi modelli di co-creazione dal basso come quello della peer production, una forma di “produzione paritaria” basata sulla collaborazione aperta e l’auto-organizzazione, grazie alla quale sono stati sviluppati progetti come il sistema operativo Linux e il browser Mozilla Firefox (O’Neil, Pentzold e Toupin 2021).

Più recentemente, le idee e il progetto politico sviluppati dal movimento del free software sono stati estesi dal software all’hardware, ampliando l’applicazione dei princìpi dell’informatica libera all’elettronica e, più in generale, alla produzione di dispositivi tecnici. Questo ampliamento ha portato alla definizione dell’open source hardware, etichetta che si riferisce alle tecnologie, elettroniche o meccaniche, i cui progetti e componenti sono resi pubblici, in modo da consentire a chiunque di studiare, modificare, distribuire e realizzare il progetto o l’hardware basato su di esso (Rubow 2008). Nel contesto italiano, il gruppo RaspiBO è una delle realtà più rappresentative tra le comunità di attivisti impegnate nella realizzazione del progetto politico, sociale e culturale sviluppato dai movimenti che supportano le tecnologie “libere” e “aperte”. RaspiBO è un gruppo informale di appassionati di elettronica e informatica libera che si riunisce presso il Centro Socio-Culturale “Croce” a Casalecchio di Reno (BO). L’obiettivo generale del gruppo è quello di approfondire e diffondere la conoscenza dell’elettronica e dell’informatica libera, cioè dell’elettronica e dell’informatica basate sull’utilizzo di tecnologie “aperte” come il free software e l’open source hardware. RaspiBO si propone di raggiungere questo obiettivo attraverso due attività principali: i) la promozione nella società del free software e dell’open source hardware, intesi come strumenti che consentono agli utenti di comprendere il funzionamento della tecnologia e stabilire un rapporto diretto, libero e consapevole con essa; e ii) lo sviluppo di progetti di innovazione “dal basso”, fondati sull’uso di tecnologie “aperte” e sull’adozione di un modello partecipativo e cooperativo di progettazione e sviluppo. RaspiBO nasce alla fine del 2012 su iniziativa di un gruppo eterogeneo di appassionati di elettronica e informatica libera provenienti dal mondo dell’associazionismo, dell’attivismo e dell’università, fra cui docenti e studenti. L’iniziativa è stata promossa originariamente da un Professore del Dipartimento di Computer Science e Ingegneria dell’Università di Bologna, e da membri di diversi gruppi e Associazioni locali dediti alla promozione dell’informatica e dell’elettronica libera, come ERLUG (“Associazione Culturale Emilia-Romagna Linux Users Group”), BSFS (“Bologna Free Software Forum”) e RaccattaRAEE1. L’interesse comune intorno a cui si riunirono i fondatori del gruppo era quello di promuovere l’applicazione dei princìpi dell’informatica libera all’hardware, applicazione che storicamente ha portato alla definizione dell’open source hardware e che da oltre un quindicennio è alla base di numerose sperimentazioni a livello globale, fondate su tecnologie i cui progetti e componenti sono resi di pubblico dominio (Powell 2012). Il moltiplicarsi delle iniziative che supportano la diffusione di software e hardware “aperti”, il cui obiettivo comune è quello di rendere gli utenti liberi di controllare la propria tecnologia e di condividere progetti e conoscenze partecipando attivamente ai processi di innovazione, viene comunemente interpretato come il risultato di una crescente attenzione rispetto alla ricerca di nuove forme di co-creazione e circolazione dell’innovazione “dal basso” (Kostakis et al. 2015; O’Neil, Pentzold e Toupin 2021). Tale progetto è fatto proprio dal gruppo RaspiBO, il cui nome richiama una delle tecnologie “aperte” più diffuse a livello globale: il microcomputer Raspberry Pi, informalmente chiamato “Raspi” all’interno delle comunità dedicate all’elettronica libera.

3.1.1. RaspiBO tra radicamento territoriale e piattaforme digitali

RaspiBO è un gruppo informale, aperto alla partecipazione e dalla geometria variabile, che non si identifica con una sede operativa ufficiale. Il gruppo si è riunito in diverse sedi nel corso della sua esistenza, e negli ultimi anni è stato ospitato dal Centro Socio-Culturale “Croce” a Casalecchio di Reno, in provincia di Bologna. Il Centro “Croce” ospita al proprio interno diverse realtà associative e, da quanto emerge dall’intervista a uno dei membri fondatori, è diventato il punto di ritrovo di RaspiBO più per ragioni di prossimità fisica che per la condivisione di qualche obiettivo specifico. La maggior parte dei partecipanti alle attività di RaspiBO risiede, infatti, nell’area urbana e periurbana del bolognese, anche se alcuni assidui frequentatori del gruppo provengono da altre province dell’Emilia-Romagna.

Nonostante questa dimensione spiccatamente territoriale e il legame di numerosi membri del gruppo con altre realtà locali legate al mondo del software libero e dell’hacking, RaspiBO porta avanti attività che coinvolgono una comunità di utenti più estesa, che partecipa ai dibattiti e ai progetti del gruppo attraverso strumenti e piattaforme digitali che consentono la collaborazione e la comunicazione tra esperti e non-esperti. Tra queste piattaforme, che il gruppo ha utilizzato fin dal principio per organizzarsi e gestire lo sviluppo dei progetti, hanno assunto particolare importanza: il “wiki”, un sito informativo aperto alla partecipazione, su cui gli utenti possono pubblicare i propri contributi di carattere tecnico; un sito basato sulla piattaforma GitHub, dove vengono condivisi progetti, codici e schemi elettronici; e una mailing list denominata “Agorà”, che viene utilizzata dagli utenti come canale di comunicazione multidirezionale, attraverso cui è possibile porre domande e ricevere risposte dagli iscritti. A questi strumenti si aggiungono varie mailing list tematiche e una newsletter informativa che attualmente raggiunge 537 iscritti attivi, cioè utenti che hanno partecipato fisicamente alle attività di RaspiBO nel corso degli anni e che hanno mantenuto fino ad oggi la propria sottoscrizione alla newsletter.

Fino alla sospensione delle attività dovuta alla pandemia di SARS-CoV-2, il Centro “Croce” ha ospitato le attività presenziali di RaspiBO, consistenti soprattutto in incontri periodici generali e serate a tema, focalizzate su argomenti tecnici specifici. A livello locale, RaspiBO ha inoltre avviato un’ampia serie di collaborazioni con enti e istituzioni pubbliche, come i Comuni di Bologna e Casalecchio di Reno, attraverso cui sono state organizzate principalmente attività a libera frequentazione ed eventi divulgativi nelle scuole e nelle biblioteche comunali, al fine di favorire la diffusione della conoscenza dell’informatica e dell’elettronica tra un pubblico più ampio e più giovane.

La collaborazione di RaspiBO con gli enti locali non si è limitata alla promozione e all’organizzazione di eventi divulgativi, ma ha consentito anche lo sviluppo di progetti di innovazione tecnologica che hanno avuto un impatto concreto sul territorio. Un esempio particolarmente significativo di questo genere di collaborazioni attivate da RaspiBO è un progetto riguardante il monitoraggio ambientale denominato “R-map” (Rete di Monitoraggio Ambientale Partecipativa).Si tratta di un progetto di monitoraggio che prevede la partecipazione attiva della cittadinanza nella raccolta dei dati ambientali, che tramite una piattaforma online dedicata vengono messi a disposizione degli enti che erogano servizi meteorologici, delle agenzie di prevenzione ambientale, della protezione civile, di aziende private ed istituti di ricerca (Pavan et al. 2019). Per raccogliere i dati vengono utilizzate delle stazioni a basso costo la cui struttura “aperta”, software e hardware, è stata progettata e sviluppata da RaspiBO. Questo progetto, nato all’interno del gruppo e sostenuto inizialmente attraverso l’autofinanziamento, negli ultimi anni è diventato una parte fondamentale del servizio meteorologico dell’Agenzia regionale per la prevenzione, l’ambiente e l’energia dell’Emilia-Romagna (Arpae), che ne ha finanziato lo sviluppo e la diffusione sul territorio.

3.1.2. Organizzazione interna e reti di collaborazione

RaspiBO è nato e si è consolidato come gruppo informale e aperto che si riunisce principalmente per approfondire i temi dell’informatica e dell’elettronica libera, e non ha mai adottato un’organizzazione associativa strutturata. Sul proprio sito web il gruppo si auto-definisce una “non-associazione” che auto-finanzia le proprie attività. L’organizzazione delle attività si è fondata, e continua a fondarsi, sulla condivisione di argomenti di interesse comune: dalle interazioni tra i partecipanti sono emersi, nel corso degli anni, temi di interesse relativi all’applicazione delle tecnologie open source ad ambiti come la robotica, la domotica, il monitoraggio ambientale e la formazione, intorno a cui si sono creati in maniera spontanea dei “tavoli” di discussione e di lavoro.

Questi “tavoli”, attraverso cui ancora oggi si sviluppano i dibattiti e i progetti del gruppo, hanno assunto fin dall’inizio una forma duplice: quella dei tavoli telematici, ospitati sulla piattaforma “wiki” di RaspiBO, che consistono in pagine web dedicate a specifici temi di interesse, in cui ciascun membro può pubblicare i propri contenuti e discutere delle tematiche relative ai progetti; e quella dei tavoli fisici, attorno cui si riuniscono i partecipanti alle attività presenziali di RaspiBO, distribuendosi spontaneamente, anche in questo caso, in base ai diversi argomenti di interesse. Sia nella loro dimensione fisica che in quella digitale, questi gruppi sono organizzati e gestiti dai partecipanti in maniera autonoma. Ai tavoli tematici si è aggiunto, nel corso del tempo, uno spazio di discussione chiamato “tavolo zero”, che esiste soltanto in versione fisica e che ha assunto un ruolo importante rispetto alle attività presenziali di RaspiBO: si tratta, infatti, di un tavolo di discussione generale che funge sia da guida introduttiva che da spazio di riferimento per discutere questioni che travalicano gli specifici interessi dei tavoli tematici.

Questa struttura informale è basata sui cosiddetti user groups: una forma organizzativa che RaspiBO ha assunto per gestire i propri incontri periodici e sviluppare i propri progetti. Gli user groups identificano appunto dei momenti di incontro in cui gli utenti collaborano e condividono conoscenze su temi o interessi specifici, aggregandosi senza la necessità di un input centrale e lavorando in maniera autonoma. Lo stesso grado di informalità caratterizza le sue attività di formazione dedicate a temi specifici, che vengono descritte dai membri come “non-corsi” aperti al dialogo e alla partecipazione attiva di chiunque sia interessato al particolare argomento proposto.

La rete di collaborazioni di RaspiBO è ampia e comprende realtà molto diverse, che spaziano dai gruppi formali e informali riconducibili al movimento del free software agli enti pubblici che partecipano allo sviluppo dei progetti di innovazione nati in seno al gruppo. Il legame con le realtà che sostengono l’informatica libera, soprattutto a livello locale, è solido e diretto, sia per motivi storici che per ragioni programmatiche: diversi membri di RaspiBO, infatti, provengono da gruppi che hanno supportato attivamente il movimento del free software nell’area di Bologna. Con questo movimento RaspiBO condivide l’obiettivo principale che, come si è detto in precedenza, consiste nel voler “liberare” l’utente dai vincoli delle tecnologie proprietarie, mettendolo al contempo in condizione di poter partecipare in maniera diretta ai processi di innovazione. RaspiBO collabora attivamente, seppur in modo non formalizzato, con gruppi come l’Associazione ERLUG e RaccattaRAEE, che fanno parte della scena bolognese del software libero e da cui provengono diversi membri fondatori di RaspiBO. Le sue collaborazioni in questo ambito si estendono anche ad altri gruppi organizzati che si occupano di software libero e hacking, e che sono attivi in Emilia-Romagna al di fuori dell’area bolognese, soprattutto a Reggio Emilia e a Cesena. In sinergia con queste realtà locali RaspiBO ha organizzato più volte, negli ultimi anni, eventi di primo piano nell’ambito del software libero come il Linux Day e l’Hackmeeting.

Un altro principale fronte di collaborazione di RaspiBO è quello con istituzioni ed enti pubblici del territorio, soprattutto a livello comunale e regionale. In quest’ambito, il gruppo ha avviato due tipi di attività congiunte, che trovano espressione, rispettivamente, nelle attività di divulgazione e nella co-creazione di progetti innovativi. Alle prime sono riconducibili le collaborazioni con enti come il Comune di Bologna e il Comune di Casalecchio di Reno, attraverso cui sono stati organizzati e promossi eventi divulgativi nelle scuole e nelle biblioteche, finalizzati sia a diffondere la conoscenza generale dell’informatica e dell’elettronica, sia a sensibilizzare la cittadinanza rispetto alle questioni centrali poste dai movimenti che supportano le tecnologie open source.

Per quanto attiene lo sviluppo di progetti innovativi, di particolare rilevanza è il contributo offerto all’ “Agenzia regionale per la prevenzione, l’ambiente e l’energia dell’Emilia-Romagna” (Arpae), con cui RaspiBO ha stabilito una solida partnership grazie soprattutto a uno dei fondatori del gruppo, che lavora come meteorologo presso l’Agenzia. Il ruolo primario che RaspiBO si è ritagliato in questa partnership è quello di incubatore di nuove tecnologie, in questo caso tecnologie a basso costo e “aperte”, dunque liberamente riproducibili e modificabili, per il monitoraggio ambientale. Grazie alla propria expertise in ambito sia software che hardware, RaspiBO ha realizzato diversi prototipi e sviluppato protocolli e piattaforme informatiche per il monitoraggio, che Arpae ha successivamente adottato allo scopo di migliorare e innovare i propri servizi.

L’Agenzia è stata coinvolta, per esempio, nella sperimentazione di una tecnologia chiamata “LoRaWAN”, un sistema di comunicazione radio a basso consumo e a lunga distanza con diverse applicazioni, il cui uso per il monitoraggio ambientale è stato sviluppato all’interno di RaspiBO. Il risultato più significativo di questa collaborazione è rappresentato, certamente, dall’implementazione della già menzionata rete di monitoraggio ambientale “R-map”. Si tratta di un progetto nato all’interno di RaspiBO e sostenuto, inizialmente, attraverso l’autofinanziamento, ma che successivamente è stato sviluppato in collaborazione e grazie ai finanziamenti pubblici di Arpae. La rete di collaborazioni che si è costituita intorno a questo progetto include anche altri attori, coinvolti in diverse sperimentazioni legate ad “R-map”: Arpa Regione Veneto, il Consorzio Interuniversitario per il supercalcolo e l’innovazione tecnologica (Cineca), il Dipartimento di Informatica dell’Università di Bologna e imprese private come DigitEco, un’azienda che si occupa della vendita, dell’installazione e della manutenzione delle stazioni meteorologiche. Il progetto, inoltre, prevede il coinvolgimento dei cittadini nella raccolta dei dati ambientali, ed è dunque sostenuto da un’ampia rete di soggetti attivi sul territorio. Da questo punto di vista, “R-map” si configura come un progetto di citizen science (si veda il glossario), ovvero un insieme di attività collegate alla ricerca scientifica a cui partecipano anche i cittadini, senza necessariamente detenere delle specifiche expertise tecniche o scientifiche.

Nello specifico, questo progetto di citizen science è esemplificativo sia dell’obiettivo che RaspiBO si propone di raggiungere (quello di coinvolgere attivamente la società nei processi di innovazione grazie all’uso di tecnologie “aperte”), sia delle reti che il gruppo ha creato nel corso del tempo per implementare concretamente i propri progetti, che si fondano sulla sinergia tra cittadinanza, istituzioni del settore pubblico e aziende private (Pavan et al. 2019).

3.1.3. Le tecnologie “aperte” e lo sviluppo di piattaforme partecipative per l’innovazione

RaspiBO ha messo in campo diverse iniziative di co-creazione, che abbracciano ambiti differenti come il monitoraggio ambientale, le infrastrutture di comunicazione wireless, la robotica e la domotica. I progetti sviluppati da RaspiBO hanno un’origine comune, rappresentata dall’esplorazione delle possibilità offerte dalle tecnologie open source nella generazione di processi di innovazione partecipativi e collaborativi. L’uso esclusivo di hardware e software non pro- prietari, sostenuto dal gruppo, costituisce infatti un elemento abilitante del coinvolgimento di attori di natura differente nelle pratiche di innovazione, grazie alla libertà di studiare, modificare, migliorare e riprodurre i progetti consentita dall’adozione di queste tecnologie.

Da questo punto di vista, la co-creazione appare dunque come un elemento connaturato all’identità e alle attività di RaspiBO.

Nel supportare la co-creazione e i modelli di innovazione partecipativi resi possibili dall’utilizzo di tecnologie non proprietarie, RaspiBO svolge un ruolo duplice. Da un lato, il gruppo mette in campo attività divulgative sui temi dell’informatica e dell’elettronica libera, che rappresentano un presupposto fondamentale per la sensibilizzazione e il coinvolgimento dei non-esperti – e della società nel suo complesso – nelle pratiche di innovazione. Oltre agli eventi divulgativi nelle scuole e nelle biblioteche promossi e organizzati in collaborazione con gli enti comunali, è significativo il contributo che RaspiBO ha dato, negli ultimi anni, alla diffusione della conoscenza della programmazione informatica tra i bambini attraverso la sua partecipazione a “Coder Dojo”. “Coder Dojo” è un movimento globale che promuove l’insegnamento dei meccanismi di base della progettazione informatica ai bambini attraverso il gioco, organizzato in club indipendenti le cui attività sono condotte da volontari in maniera aperta e senza scopo di lucro. L’obiettivo del progetto è quello di ispirare e supportare i giovani nell’imparare come creare tecnologia, incoraggiando la collaborazione, il tutoraggio tra pari e la condivisione delle conoscenze.

In maniera più diretta, RaspiBO contribuisce alla sperimentazione concreta di modelli di innovazione collaborativi mediante lo sviluppo di specifici progetti tecnici che coinvolgono la cittadinanza e diversi attori del settore pubblico e privato. Gli esempi maggiormente significativi delle iniziative di co-creazione di RaspiBO sono i progetti “LoRaWAN” e “R-map” che, sviluppati inizialmente all’interno del gruppo, grazie alle attività di interessamento e di network building di RaspiBO hanno generato tecnologie e piattaforme per il monitoraggio ambientale nella cui sperimentazione, implementazione e finanziamento è stata coinvolta una rete eterogenea di attori che comprende aziende private, enti pubblici come Arpa Emilia-Romagna e Arpa Veneto, centri di ricerca e università, e che fin dalla fase ideativa hanno previsto la partecipazione attiva dei cittadini nella raccolta dei dati e nella diffusione sul territorio delle stazioni per il monitoraggio.

Queste iniziative esemplificano le pratiche di co-creazione sperimentate da RaspiBO, basate su un modello di innovazione che prevede la generazione dei progetti “dal basso”, attraverso processi non strutturati e interazioni spontanee che prendono forma intorno agli interessi conoscitivi liberamente espressi dai membri del gruppo, e il coinvolgimento nel loro sviluppo della cittadinanza, degli enti pubblici e dei soggetti privati potenzialmente interessati. Di particolare rilevanza, rispetto al tema della co-creazione, è il fatto che questo modello di innovazione si è dimostrato efficace nel sopperire alla limitata capacità innovativa degli enti pubblici.

Dall’intervista a uno dei membri che hanno contribuito in maniera sostanziale allo sviluppo di questi progetti, infatti, è emersa una chiara percezione dei limiti strutturali che rendono difficoltosa la generazione di progetti innovativi all’interno degli enti pubblici. In particolare, si tratta della scarsa propensione a farsi carico dei rischi e dei costi della sperimentazione, della mancanza di elevati livelli di competenza tecnica e dell’assenza di strutture interne dedicate alla progettazione. Per via di questi limiti gli enti pubblici, spesso, non riescono a sviluppare innovazione in maniera autonoma. Da questo punto di vista, i progetti portati avanti da RaspiBO esemplificano un modello sinergico di sviluppo che, grazie all’adozione di tecnologie “aperte” e a basso costo, all’expertise messa a disposizione dagli attivisti e a un approccio programmaticamente collaborativo, consente agli enti pubblici di sviluppare innovazione a beneficio della collettività.

3.1.4. La responsabilità nell’esperienza di RaspiBO: open source e co-creazione dal basso

Il tema della responsabilità è centrale nella costituzione identitaria e nelle attività di RaspiBO, e si sviluppa lungo dimensioni diverse ma complementari, che hanno un filo conduttore comune rappresentato dalle tecnologie open source.

Una prima dimensione della responsabilità riguarda il ruolo delle tecnologie “aperte” nella costituzione di forme di relazione tra società, tecnologia e innovazione alternative a quelle dominanti, in cui le tecnologie open source fungono da pungolo per fomentare l’empowerment degli utenti e delle comunità e ridurre le asimmetrie di potere instaurate dalle piattaforme digitali e dalle imprese Big Tech. Questo progetto etico, portato avanti dai movimenti che supportano il free software e le tecnologie open source, è fatto proprio da RaspiBO che, a livello programmatico, si assume la responsabilità di approfondire e diffondere la conoscenza dell’elettronica e dell’informatica libera, facendone il proprio obiettivo principale.

L’approccio adottato dal gruppo è quello dell’hacking, del “mettere le mani” nella tecnologia per comprenderla e sviluppare progetti innovativi, condividendo liberamente informazioni e progetti con tutti i soggetti interessati. La condivisione, che rappresenta un fattore abilitante dei processi di co-creazione, viene praticata da RaspiBO a più livelli: gli incontri periodici tra i membri, le attività di formazione e di divulgazione, lo sviluppo dei progetti, assumono tutti una struttura informale e aperta che favorisce la condivisione della conoscenza e la partecipazione di soggetti eterogenei. A livello generale, il gruppo si posiziona quindi come attore fortemente impegnato nella sensibilizzazione e nell’inclusione della società nel progetto etico costituitosi intorno alle tecnologie “aperte”. Questo suo posizionamento lo caratterizza come attore orientato alla democratizzazione dell’innovazione realizzabile attraverso il coinvolgimento della società e, soprattutto, degli utenti (von Hippel 2005).

Una seconda dimensione della responsabilità, più specifica, riguarda il modo in cui questo programma etico può essere realizzato concretamente attraverso la messa in campo di progetti di innovazione “dal basso”, fondati non solo sull’uso di tecnologie open source, ma anche sull’adozione di modelli partecipativi e cooperativi di progettazione e sviluppo. Da questo punto di vista, l’esperienza di RaspiBO mette in luce come anche l’uso di tecnologie open source possa essere ricondotto a forme strutturate e istituzionalizzate di innovazione che non ne favoriscono la democratizzazione, a meno che tale uso non venga accompagnato dall’adozione di modelli partecipativi che incoraggino i processi di co-creazione coinvolgendo attori differenti. Questo aspetto specifico della responsabilità emerge, soprattutto, dal confronto tra RaspiBO e altri tipi di soggetti che sviluppano innovazione in forme più istituzionalizzate.

Significativo è il fatto, ad esempio, che i membri di RaspiBO, pur riconoscendosi esplicitamente nella figura dei makers, cioè degli “artigiani digitali” che utilizzano l’elettronica, la fabbricazione e la prototipazione digitale, percepiscano il proprio gruppo come differente rispetto ad altri soggetti appartenenti al mondo del making, per via della totale apertura e trasparenza delle attività di RaspiBO, le cui iniziative sono sempre svolte gratuitamente e i cui progetti possono essere proposti da chiunque, con l’unico vincolo del dover prevedere tassativamente l’uso di tecnologie “aperte”. Dall’intervista a uno dei fondatori è emersa, in questo senso, la percezione di una differenza tra RaspiBO e i FabLab (si veda il glossario) – spazi dedicati alla fabbricazione digitale che aderiscono formalmente a un network globale gestito dalla Fab Foundation3, di cui sottoscrivono lo Statuto denominato Fab Charter (Gershenfeld 2005). Nonostante i FabLab utilizzino gli stessi strumenti e siano idealmente aperti al pubblico, le loro attività appaiono più orientate a modelli di business for-profit, piuttosto che all’innovazione sociale, dato che molti dei progetti che vi vengono sviluppati sono concepiti come futuri prodotti da introdurre sul mercato, e non come innovazioni distribuite in maniera aperta, riproducibili e modificabili. Inoltre, la libera partecipazione è mitigata dall’offerta di corsi a pagamento e dalla sottoscrizione di quote associative. Rispetto ai FabLab, nella percezione dell’intervistato, RaspiBO si pone come uno spazio totalmente libero e concretamente aperto alla partecipazione, in cui i progetti possono essere sviluppati in maniera cooperativa, indipendentemente dalla loro sostenibilità economica. Un secondo esempio di come viene declinato questo aspetto della responsabilità nei processi di innovazione è fornito dai progetti che RaspiBO ha sviluppato in collaborazione con enti pubblici come Arpae. In un contesto in cui le tecnologie open source sono viste come fonti di risparmio economico più che come strumenti che consentono di sperimentare nuove pratiche di innovazione, RaspiBO è riuscito a ribaltare questa percezione coinvolgendo gli enti in progetti collaborativi e partecipativi, in cui la co-creazione ha consentito di evadere i limiti strutturali che rendono difficoltosa la generazione dell’innovazione nel settore pubblico. In entrambi i casi, RaspiBO declina la propria responsabilità nei termini di un agire alternativo rispetto a forme strutturate e istituzionalizzate di innovazione che risultano essere esclusive, o comunque non sufficientemente inclusive rispetto al coinvolgimento della società nei processi di innovazione.

3.1.5. Riflessioni conclusive

Il caso di RaspiBO mette in luce alcune potenzialità e criticità dei processi di co-creazione e innovazione dal basso. In primo luogo, questo caso è esemplificativo di come un modello organizzativo informale e aperto alla partecipazione, unito all’adozione esclusiva di tecnologie open source, possa generare innovazione favorendo la cooperazione e la sinergia tra attori impegnati in ambiti e attività tra loro differenti. Al di là dell’efficacia di questo modello, pur testimoniata dal successo delle iniziative di co-creazione intraprese dal gruppo, l’aspetto maggiormente significativo dell’esperienza di RaspiBO è rappresentato dalla sua attenzione programmatica rispetto alla ricerca e alla sperimentazione di una forma di relazione tra società, tecnologia e innovazione alternativa a quella dominante, potenzialmente in grado di “democratizzare” l’innovazione attraverso il coinvolgimento attivo della cittadinanza e delle istituzioni e la riduzione delle asimmetrie di potere tra imprese private e utenti.

In secondo luogo, a fronte di queste potenzialità, il caso aiuta a identificare alcune delle principali criticità che ostacolano il raggiungimento di un efficace lavoro di innovazione dal basso. In particolar modo, l’esperienza di RaspiBO evidenzia la necessità di supportare i processi di innovazione dal basso attraverso attività di interessamento e sensibilizzazione ampie ed efficaci. Nel corso della ricerca è emerso, per esempio, come le iniziative di divulgazione organizzate da RaspiBO in collaborazione con scuole, biblioteche ed enti comunali abbiano avuto un riscontro inferiore rispetto alle attese, nonostante la gratuità degli eventi e la loro promozione congiunta. Ciò mette in luce come l’interesse pubblico rispetto ai temi legati alle tecnologie open source e alle loro potenzialità in quanto strumenti di inclusione nei processi di innovazione sia ancora oggi limitato e debba trovare nuove forme di stimolo e sensibilizzazione.

Anche quando gli spazi dedicati al making si insediano sul territorio con successo e incrementano l’attenzione verso le tecnologie di fabbricazione digitale, come è accaduto negli ultimi anni in Italia grazie alla proliferazione dei FabLab (Menichinelli 2016), la realizzazione delle potenzialità di queste tecnologie come strumenti di innovazione sociale richiede l’implementazione di modelli di sviluppo cooperativi che non sempre trovano spazio all’interno delle organizzazioni strutturate. Un altro esempio di questo aspetto critico, messo in luce dall’esperienza di RaspiBO, è rappresentato dall’atteggiamento degli enti pubblici verso le tecnologie open source, che è spesso caratterizzato da una visione di queste tecnologie come semplici fonti di risparmio economico, e non come strumenti di inclusione nei processi di innovazione. Anche se il successo di progetti come “R-map” dimostra che è possibile coinvolgere le istituzioni e gli enti pubblici in forme partecipative di co-creazione fondate sull’adozione di tecnologie “aperte”, il caso di RaspiBO rende evidente la necessità di una più sistematica opera di sensibilizzazione degli attori potenzialmente interessati a tali forme di innovazione.

Note

ERLUG è un’Associazione Culturale senza fini di lucro con sede a Bologna, il cui obiettivo principale è quello di promuovere la diffusione dell’informatica e della telematica, con particolare attenzione al software “libero”.

BSFS è un gruppo informale nato a fine 2001 sulla scia del movimento World Social Forum, il cui obiettivo è quello di sviluppare un approccio critico al software promuovendo il free software.

RaccattaRAEE è un’Associazione di volontariato fondata a Bologna nel 2008, le cui attività si focalizzano sul recupero creativo dei rifiuti elettronici e delle tecnologie dismesse, a favore di soggetti svantaggiati dal punto di vista socio-economico e a tutela del patrimonio ambientale.

Fab Foundation: organizzazione non-profit creata nel 2009 dal MIT di Boston per supportare e istituzionalizzare la diffusione a livello globale dei FabLab.